Quello che sappiamo su Nassiriya è una missione di pace che hanno fatto i nostri militari italiani in Iraq, ce l’hanno raccontato centinaia di servizi giornalistici e anche una fiction interpretata da Raoul Bova. I compiti erano chiari: mantenere la pace nel popolo iracheno, distribuire viveri di conforto, consegnare i medicinali, ricostruire le scuole, recuperare gli armamenti e sorvegliare i pozzi di petrolio. L’idea che ci siamo fatti è che in ogni quartiere di Nassiriya l’esercito italiano fosse sempre bene accolto, anche se il 12 novembre sempre del 2003, come un fulmine a ciel sereno, arriva un attentato a una nostra caserma.
Un camion cisterna pieno di esplosivo, con due kamikaze a bordo, esplode davanti alla base maestrale dei Carabinieri e uccide diciannove persone fra militari e civili. Fino a quel momento i terroristi di Al Qaeda avevano colpito solamente gli americani, forse anche in risposta a certi tipi di interrogatori che facevano ai prigionieri iracheni, vere barbarie, documentate da giornali e tv internazionali e che hanno portato alla condanna di tutti i militari americani coinvolti. Ebbene, abbiamo incontrato una persona che ci ha fatto delle rivelazioni sconvolgenti: certi tipi di interrogatori, ci dice, li avremmo fatti anche noi. Leonardo Bitti è un ex soldato italiano, ha passato vent’anni nell’esercito e ha fatto molte missioni all’estero.
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Bosnia, Kosovo, Albania, Macedonia, Iraq.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ed è proprio l’Iraq nel 2003 la meta della sua ultima missione, prima del congedo.
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Parto per Nassiriya, dove faccio quattro mesi di missione…
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): La tua base come si chiamava?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): White Horse.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ecco, la base militare italiana a Nassiriya dove Leonardo ha prestato servizio assieme ad altri circa mille soldati. Un giorno un suo superiore gli ordina di prendere un camion con una cisterna d’acqua e di portarla in una zona top secret della base, accessibile a poche persone.
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Do il mio nominativo, loro verificano che io sono autorizzato e mi fanno accedere. Mentre mi reco verso questa zona qua, c’è una casa bianca che non sapevo neanche che esistesse.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Questa è la casa a cui fa riferimento Leonardo e in effetti è situata all’estremità della base, lontana dal passaggio abituale di mezzi e persone.
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Io arrivo col camion da questa parte qua e parcheggio qua davanti perché l’ingresso sta su questo lato qua.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Come era questa casa?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Un quadrato unico di un centinaio di metri quadri. Vedo dei ragazzi con passamontagna calzato in testa, altri col passamontagna rivoltato per cui si vedeva la faccia, tutti in magliettina e alcuni avevano anche il manganello in mano.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Leonardo militare di missioni ne ha fatte parecchie e capisce subito che c’è qualcosa che non va. Inoltre, riconosce dalle divise il reparto di appartenenza di quei militari.
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Quelli in quel momento che erano muniti di manganello e magliettina erano del Battaglione San Marco, mentre gli altri militari facevano parte delle Truppe Speciali.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Paracadutisti d’assalto e incursori della Marina, reparti speciali addestrati a intervenire in ogni teatro di guerra.
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Una trentina erano quelli del Battaglione San Marco e una decina quelli delle Truppe Speciali. Mi sono avvicinato a uno di loro…
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Che ti ha detto lui?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): “Porta all’interno un tubo d’acqua”. Quando entro all’interno della casa mi rendo conto che è divisa in tre ambienti, una stanzina molto più piccola, una media e poi c’è un camerone grande. L’unica finestra era stata oscurata…
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Completamente buia hai detto…
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): …completamente buia. La cosa impressionante era praticamente l’odore che si sentiva, sia di escrementi, sia di urine e si vedevano tracce anche dappertutto di sangue.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Sangue?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Si. Do la pompa a loro e loro iniziano a fare quello che devono fare. Raccolgono tutti i residui di abbigliamento che c’erano e li mettono nei sacchi e viene portato via. Io quindi esco da lì mi avvicino verso le tende, all’interno della tenda vi erano le persone piazzate a semicerchio, alcune erano vestite col classico abito arabo, altri invece erano anche nudi di loro.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Tu quando sei entrato quanti ne hai visti di queste persone?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Ma dovevano essere intorno a cinque o sei persone, inginocchiati, con i piedi incrociati in modo che loro non si potessero sollevare e con le mani chiuse da dalle fascette da elettricista e il sacchetto classico in testa. Alcuni dei militari italiani che stavano lì ad evitare che tra di loro ci fosse possibilità di scambiarsi anche delle frasi.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Questa situazione l’hai vista in tutte e tre le tende?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): In tutte e tre le tende, qualcuno di quelli che stava nudi, praticamente aveva qualche segno di manganellata, sì, aveva il classico segno…
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Lo hai visto coi tuoi occhi?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Si, quello si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Dove ce li aveva questi segni?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Uno in particolare l’ho visto su un fianco della schiena e all’improvviso un giorno è arrivata un’ambulanza in fretta e in furia. Sono entrati dentro con del materiale sanitario e hanno operato all’interno, cosa abbiano fatto non lo so.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Nella base i militari sapevano che esisteva questa casetta chiamata “White House”?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Si, tutti sapevano che serviva per fare delle procedure di interrogatorio.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Perché in questa casetta c’erano i segni ancora di escrementi, di pipì, di tracce di sangue?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Posso presumere che fosse la conseguenza degli interrogatori.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Tu sei stato in questa base per quattro mesi…
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): … quante volte sei andato in questa casetta?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Ma almeno per un paio di mesi andavo due, tre volte a settimana.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Due volte a settimana bisognava lavare questa casa? E tu queste persone dentro le tende, le hai viste solo una volta o più volte?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): No, tutte le volte che andavo le…
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Quindi tu per due mesi hai visto queste persone?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Si, si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Erano sempre le stesse o cambiavano di volta in volta?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): La tipologia delle persone cambiava per cui si vedeva quello più magrolino o quello più corpulento quindi…
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Quello che ci ha appena detto Leonardo Bitti, ex militare in missione a Nassiriya, è molto grave, perché non rispecchia con la versione che ci hanno raccontato fino ad oggi e cioè che i militari italiani fossero in Iraq in missione di pace. Come mai però questa cosa ce la racconti solo adesso?
LEONARDO BITTI (EX SOLDATO ESERCITO): Perché essendo uscito fuori dall’ambiente militare, uno piano piano prende anche il coraggio di dire determinate cose.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ora, se Leonardo sta dicendo la verità, allora è possibile che nel 2003, all’interno della base militare White Horse in Iraq, alcuni gruppi speciali delle Forze Armate italiane abbiano fatto degli interrogatori-tortura vietati dall’ONU. E non è la prima volta che sentiamo dalla bocca di un soldato una storia del genere. Alcuni anni fa abbiamo intervistato proprio un militare di quelle Forze Speciali, uno che quegli interrogatori li faceva di mestiere. Nome?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non te lo posso dire.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Professione?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Impiegato militare.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ma sulla carta d’identità, cosa c’è scritto?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Impiegato.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E a tua mamma, cosa dici che fai?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Impiegato a Milano.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Che grado hai?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non te lo posso dire.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Da quanto tempo fai questa professione?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Più di dieci anni.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Come hai cominciato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Durante il mio periodo militare sono stato selezionato.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E come finirai?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Prima o poi lascerò il mio lavoro e mi aprirò un negozio di alimentari.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Com’è il tuo lavoro?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Un bel lavoro, molto retribuito.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ma ti paga lo Stato Italiano?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Perché ti piace?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Mi piace girare.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Dove sei stato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Iraq, Afghanistan, Kosovo, Timor Est, Somalia, tutte le missioni all’estero.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Dove ti sei trovato meglio?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: In nessun posto.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): All’interno dell’Esercito, di cosa ti occupi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Interrogatori.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Come viene chiamato chi interroga?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Esecutore.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E l’interrogato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Prigioniero.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Chi sono i prigionieri?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: E’ gente che viene presa.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E in base a cosa vengono presi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Sono dei terroristi che minacciano il nostro paese.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Come arrivano al luogo in cui li interroghi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Vengono individuati e rapiti.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E dove vengono custoditi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non te lo posso dire.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Dove si svolge un interrogatorio?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: In ogni luogo idoneo.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E chi vi partecipa?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non te lo posso dire.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): In che lingua avviene l’interrogatorio?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: La nostra lingua.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): L’italiano?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Come fai a farti capire dall’interrogato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Con la violenza.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Che differenza c’è tra interrogatorio e tortura?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Che l’interrogatorio viene fatto all’individuo per sapere informazioni. La tortura viene subito dopo l’interrogatorio se la persona non parla.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Quello che fai è legale?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non posso risponderti.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Dove l’hai imparato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Dove lavoro.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ci sono dei manuali?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ci sono dei corsi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si, ci sono dei corsi.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E degli esami?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Certo.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Come si svolge l’interrogatorio?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si prende questa persona, la si porta in un posto si inizia a fargli le domande. Nel caso questa persona non dia delle risposte specifiche, allora lì si inizia con il trattamento, fino a quando non si riesce a far parlare il prigioniero.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E quanto può durare?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non c’è un tempo.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Che tecniche usi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Calci, pugni, manganellate. Viene utilizzata la corrente, viene incaprettato e poi viene attaccato e messo in un sacco dove viene sospeso per aria. Gli vengono anche fatte delle feci e dell’urina addosso a questa persona. Soffocamento, tutto quello che può servire per farlo parlare. La persona fisicamente deve crollare.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Cos’è il water-boarding?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Il water-boarding sarebbe una stoffa, che viene imbevuta d’acqua, viene messa in bocca e poi viene versata sempre più acqua, è la stessa sensazione di annegamento.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Il siero della verità funziona?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No, non esiste.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E l’ipnosi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): La macchina della verità?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Quali metodi sono più efficaci?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Oltre agli schiaffi e ai pugni, mandare la corrente ai genitali è molto efficace.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Hai mai minacciato qualcuno?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Umiliato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Picchiato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ferito?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Si.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Violentato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Mutilato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non posso rispondere.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Ucciso?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non posso rispondere.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Qual è la percentuale delle persone che parlano?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Molto soddisfacente.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Quando finisce l’interrogatorio?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Quando si ha quello che si voleva ottenere.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Tu vai avanti finché non parla o dici “Ok, oggi basta, continuo domani”?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No, fino a quando non parla.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Come fai a sapere che uno t’ha detto la verità?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non sono io che devo sapere se ha detto la verità, io lo faccio parlare e basta.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E dopo l’interrogatorio, i prigionieri dove vanno?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Non te lo posso dire.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Li vedi ancora?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Non ti è mai capitato di interrogare due volte la stessa persona?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Hai mai re-incontrato per caso qualcuno che avevi interrogato?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: No.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E cosa gli diresti se lo incontrassi?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Niente.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): E lui, che cosa ti direbbe?
MILITARE FORZE SPECIALI NON RICONOSCIBILE: Sicuramente niente, perché durante l’interrogatorio io ho il passamontagna e alla persona viene coperto il viso e quindi non saprebbe riconoscermi.
LUIGI PELAZZA (GIORNALISTA): Questa parte della storia sulla missione di pace dei nostri militari a Nassiriya ha ancora molti punti oscuri e merita di essere approfondita. Se qualcuno di voi fosse in possesso di materiale utile a ricostruirla, noi siamo qui.